Separazione e Divorzio: Giurisprudenza a confronto ed interventi a tutela del coniuge
Appare di stretta attualità e di notevole interesse sociale oltre che giuridico la materia della separazione e del divorzio tra coniugi, alla quale il Legislatore ha dedicato molti interventi normativi negli ultimi anni, volti ad avvicinare il nostro Paese alle legislazioni comunitarie in materia di diritto di famiglia. La peculiarità tipica dell’ordinamento italiano, che lo contraddistingue dalla maggior parte dei Paesi europei, è rappresentato dall'esistenza di due procedimenti, talvolta anche paralleli, di separazione prima e di divorzio successivamente, inteso quale scioglimento del matrimonio ovvero cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario.
L’Italia è uno dei pochi paesi, infatti, che ha mantenuto una suddivisione bifasica della fine del rapporto coniugale, individuando una fase preventiva di separazione, nella quale risulta ancora in essere il rapporto matrimoniale, ed una fase successiva di divorzio. Proprio di recente, in materia è stato introdotto con la Legge n. 55/2015 il cosiddetto “divorzio breve”, proprio per limitare i tempi della cessazione del vincolo matrimoniale ed allineare il sistema al resto dei Paesi Europei, nei quali i costi ed anche la durata dei procedimenti sono notevolmente inferiori rispetto all’Italia.
Già in precedenza il legislatore aveva introdotto diversi strumenti volti a velocizzare l’iter di separazione quali: l'accordo tra i coniugi dinanzi all'Ufficiale di Stato Civile oppure la negoziazione assistita; il tutto adeguato anche a quello che sembra essere il nuovo concetto di famiglia socialmente riconosciuto, così come modificato dalla evoluzione della cultura del nostro paese.
Rilevano, poi, anche degli interventi giurisprudenziali che, in particolare nell'anno 2017, hanno profondamente inciso sulla materia, quasi a voler esortare il legislatore ad un intervento riformatore volto ad adeguare la disciplina ai tempi ed alle modiche sociali intervenute negli ultimi decenni.
In particolare, la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11504 del 10/02/2017 ha scritto un nuovo ed inedito capitolo in materia di diritto all'assegno divorzile, anche qui aumentando il divario tra il concetto di separazione e quello di divorzio. Con tale rivoluzionaria pronuncia la Suprema Corte ha sancito, di fatto, l'abbandono del criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, quale parametro per il riconoscimento dell’assegno in favore dell’ex coniuge in sede di divorzio.
Alla luce di tale nuovo orientamento, nonostante i contrasti intervenuti, dovrà essere dimostrata la mancanza di indipendenza ovvero l’insufficienza economica da parte del coniuge che richiede l'assegno divorzile. Attenzione, però, tale pronuncia di impatto molto rilevante, estende la propria validità anche alle sentenze già passate in giudicato, motivo per il quale sarà interessante saggiarne l’ambito applicativo in materia di domanda di revisione dell'assegno divorzile.
La Suprema Corte appare confermare il divario tra separazione e divorzio, per i quali sussiste una differenza fondamentale dal momento che, la separazione, a differenza del divorzio, non elide ma anzi presuppone la permanenza del vincolo coniugale, permane dunque il requisito del tenore di vita in caso di separazione, non sarà così invece in caso di divorzio.
In tal modo, i giudici di legittimità hanno inteso rivoluzionare quelli che sono i rapporti fra i coniugi dopo la fine del matrimonio, escludendo il diritto del coniuge economicamente più debole a mantenere quello che era il cosiddetto tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e, dunque, avrà diritto a ricevere l'assegno lui oppure lei riconosciuti non autosufficienti e quindi non in grado di procurarsi redditi che consentono una vita autonoma e dignitosa.
La suddetta pronuncia esplica i propri effetti anche ai precedenti divorzi con un probabile e prevedibile aumento del carico di lavoro per i magistrati chiamati a decidere sulle richieste di modifica e/o di revoca dell'assegno divorzile riconosciuto al coniuge in virtù del principio del tenore di vita che, ad oggi, sembrerebbe escluso.
La questione appare di grande rilievo tenuto conto che si trattava di un orientamento giurisprudenziale costante e granitico fin dal 1990, a seguito di una pronuncia delle Sezioni Unite. Il neonato principio di diritto coniato dalla sentenza in esame, è stato di recente riconfermato dalla Corte di Cassazione con una pronuncia datata 11 settembre 2017, con la quale la Corte ha riconosciuto al coniuge più debole, in questo caso la moglie, la possibilità di aumentare l'assegno di separazione in virtù proprio dell’impossibilità della stessa di mantenere il tenore di vita goduto durante il rapporto di coniugio.
Di natura differente è da intendersi, invece, l’assegno alimentare, riconosciuto in favore del coniuge in stato di bisogno, che risponde invece all’esigenza di assicurare il soddisfacimento delle esigenze primarie del quotidiano, non avendo tuttavia riguardo solo alla mera sussistenza, ma anche ai fondamentali bisogni a garanzia di un’esistenza dignitosa del coniuge anche a seguito della separazione.
Tuttavia, tale strumento prevede indefettibili presupposti di carattere oggettivo, quali lo stato di bisogno del coniuge richiedente gli alimenti e l’impossibilità dello stesso di provvedere al proprio mantenimento, anche nel caso in cui pur essendo abile al lavoro non riesca a trovarlo. Tale strumento di solidarietà familiare, cessa però al sopraggiungere della pronuncia di divorzio tra i coniugi, non essendo applicabile la normativa disciplinata dagli artt. 433 e seguenti del Codice civile una volta che sia venuto meno lo stato di coniugio, da considerarsi presupposto normativamente previsto per la somministrazione degli alimenti, sciolto proprio dalla pronuncia di divorzio.
Altro intervento in materia al quale è opportuno far riferimento parlando di tutela del coniuge, è rappresentato dalla costituzione da parte del governo di un “Fondo di Solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno”; tale intervento avvenuto con la legge di stabilità del 2016 prevede per gli anni 2016 e 2017 l'istituzione presso il Ministero della Giustizia di un fondo in favore del coniuge che versi in stato di bisogno nel caso di inadempimento da parte del coniuge obbligato al mantenimento.
Il fondo rappresenta un temporaneo intervento a tutela del coniuge, limitato al momento alle sole annualità 2016 e 2017, e dal carattere evidentemente sperimentale, tanto è vero che è stata riconosciuta la possibilità di accedere a tale fondo solo in alcuni tribunali pilota, tra i quali i tribunali distretto di Corte d'Appello, presso i quali è possibile avanzare la domanda di accesso al Fondo di solidarietà.
Tale strumento tende la mano a quei soggetti più deboli nell'ambito del rapporto familiare, privi di un reddito adeguato e dei mezzi economici necessari per vivere.
Pregevole il valore morale dell’intervento legislativo in esame, di forte impatto sociale sebbene limitato da restrittivi e penalizzanti criteri di accesso che ne limitano l’applicazione.
Tra i criteri previsti ai fini della accesso al fondo, vi è il requisito reddituale che ne consente il riconoscimento in favore del coniuge in stato di bisogno il cui reddito risulti al di sotto del limite di euro 3000 ed in caso di inadempimento da parte del coniuge tenuto a versare l'assegno di mantenimento in favore del coniuge e dei figli minori oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave conviventi con il richiedente, e ciò nel momento in cui non abbia ricevuto l'assegno determinato ai sensi dell'articolo 156 del codice civile.
L’istanza andrà depositata presso le cancellerie dei Tribunali pilota, nella sezione di volontaria giurisdizione, è esente dal pagamento del contributo unificato e prevede l'indicazione di tutti i dati personali nonché l'indicazione di quello che è l'importo relativo all'inadempimento del coniuge, con la specificazione del pregresso importo dovuto o meglio dell'importo dovuto in data antecedente all'entrata in vigore della norma e di quello successivo all'entrata in vigore di questa.
Andrà altresì indicato se il coniuge inadempiente possegga o meno dei redditi, ed ancora una serie di dichiarazioni relative allo stato di occupazione o di disoccupazione nei due anni antecedenti alla presentazione della domanda nonché l'indicazione specifica di quelle che sono le somme a titolo di mantenimento percepite in tutto o in parte, che dovranno essere indicate separatamente nell'ambito della istanza, allegando dunque anche i provvedimenti tra i quali il verbale di pignoramento e gli atti delle procedure esecutive promosse nei confronti del coniuge inadempiente e anche dunque il titolo su cui si fonda il diritto all'assegno di mantenimento.
Qualora ritenuta ammissibile l’istanza, il Presidente del Tribunale od un giudice da lui delegato, ne ordinerà la trasmissione nei 30 giorni successivi al Dipartimento degli Affari di giustizia presso il Ministero, ove è istituito il Fondo.
Le risorse stanziate per il suddetto fondo corrispondono ad euro 250.000 per il 2016 ed euro 500.000 per l'anno 2017, con la peculiarità di non impugnabilità di un eventuale provvedimento di diniego e tenuto conto che l'importo massimo liquidabile non potrà superare la misura mensile di quello che è l'assegno sociale, con possibilità di revoca nel caso di dichiarazioni mendaci.
Di sicuro interesse è la previsione di recupero delle somme versate in favore del coniuge in stato di bisogno da parte del Ministero proprio nei confronti del coniuge inadempiente. Le somme recuperate verranno poi destinate a ricostituire il fondo destinato agli anni successivi, così di fatto reinvestendo nel fondo di solidarietà, al fine di rendere tale “intervento” strutturale e permanente nel nostro sistema, quale forma di aiuto in favore del coniuge ed i figli minori oltre che di figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi con il richiedente, in relazione al riconoscimento di un assegno per il coniuge determinato ai sensi dell'articolo 156 del codice civile.
Lo strumento a tutela del coniuge, ha avuto ad oggi una esigua applicazione, decisamente limitata dai requisiti molto restrittivi per l’accesso, ma appare l’intervento affetto da una serie di problematiche che sarebbe bene modificare al fine di rendere davvero concreta l’efficacia di tale strumento. Ad esempio, per volontà chiara del legislatore, l’accesso al Fondo viene consentito solo ed esclusivamente in favore del coniuge che abbia ricevuto l'assegno determinato ai fini del mantenimento, non rilevando in alcun modo l’assegno riconosciuto in favore dei figli. Sul punto, di recente è intervenuto il Tribunale di Milano ed ha escluso che al fondo potessero accedere il coniuge in caso di inadempimento relativo al versamento imposto nei confronti dei figli e quindi a sostegno dei minori, proprio perché secondo il Tribunale tale misura è destinata a sostegno del coniuge e non anche dei minori.
Ciò imporrebbe o renderebbe quantomeno auspicabile un ampliamento di tale disciplina, considerato il numero di giudizi pendenti, anche in ambito penale, per la violazione degli obblighi di assistenza familiare in danno della prole. La misura in esame, rivolta al sostegno del coniuge debole, è riconosciuta esclusivamente in favore del coniuge che in sede di separazione abbia ottenuto il diritto all’assegno, non è invece così per quel genitore, da considerarsi genitore più svantaggio che non percepisce un assegno di mantenimento e che non sia al contempo in grado di procurarsi mezzi idonei al proprio sostentamento, il quale risulta escluso dal beneficio.
Per concludere, attesa la scarsa applicazione dell’istituto e considerati i limiti dell’intervento, sarebbe auspicabile una rivisitazione dei criteri di accesso, con estensione a quei beneficiari ignorati dall’attuale disciplina, ciò al fine di rendere più fruibile il beneficio a tutela dei soggetti deboli nell’ambito del rapporto familiare.
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